“Summer Camp” – LUKAVICA 15-17 AGOSTO 2010

Preparazione e svolgimento delle attività

 

Le prime riunioni pensate appositamente per il campo risalgono agli inizi di maggio 2010.

Essendo stata questa la prima volta in cui il Comitato Provinciale si è cimentato in una simile esperienza, si è resa necessaria una fase preparatoria di meditazione e riflessione che ha coinvolto all’inizio solo i primi ideatori del progetto e successivamente gli altri volontari che si sono aggiunti alla squadra organizzativa.

Proprio per la novità del progetto, per quanto riguarda le tematiche che si sono volute affrontare, si è stabilito di mantenere un approccio cauto rispetto ad argomenti quali la convivenza tra etnie o le sofferenze legate all’esperienza del conflitto; si è deciso di approcciarsi al gruppo di ragazzi che avrebbe partecipato al campo non tanto come “giovani di una zona di guerra” bensì quali persone “normali” che si apprestano ad entrare nell’età adulta: si è voluto farli riflettere sulla condizione attuale loro e della realtà in cui vivono oltre che sulle loro aspettative per il futuro. Si è concordato che gli aspetti più strettamente legati all’esperienza della guerra e in particolare le difficoltà di relazione con l’altra etnia, sarebbero stati affrontati solo su esplicita richiesta dei partecipanti. La decisione di non toccare direttamente certe tematiche è stata dettata anche dalla sensazione di alcuni volontari di non essere adeguatamente preparati ad affrontare “tasti così dolenti” e ancora così sensibili.

Le attività organizzate prevedevano comunque una stretta convivenza per tutti i tre giorni tra i partecipanti al campo, offrendo quindi continue occasioni di incontro e “integrazione”: tutto il campo è stata un’unica grande palestra di relazione.

Per quel che riguarda il ruolo degli organizzatori italiani rispetto alle attività proposte si è deciso che essi avrebbero avuto quanto più possibile un ruolo paritario con i ragazzi; non si sarebbero quindi approcciati come formatori quanto piuttosto come “compagni di esperienza”. A tal fine, dove le esigenze organizzative lo permettevano, anche i volontari italiani hanno partecipato alle attività assieme ai ragazzi bosniaci; nella stessa ottica non si è adibita una camerata per i soli italiani ma questi hanno condiviso la stanza con i ragazzi bosniaci.

Per la progettazione delle varie giornate si è utilizzato un testo redatto dalla Caritas Nazionale dal titolo “Peacebuilding: un manuale formativo Caritas” che ha fornito vari spunti da cui partire per l’individuazione delle attività da svolgere. Per quanto riguarda l’elenco vero e proprio delle attività svolte si rimanda alla “tabella di marcia” utilizzata per la gestione delle varie giornate e che è stata strutturata quanto più possibile prima della partenza dall’Italia (allo stesso tempo però durante il campo si è mantenuto un approccio elastico rispetto quanto inizialmente concordato consci della necessità di ascoltare gli input provenienti dai partecipanti e in base a questi eventualmente “aggiustare” lo svolgimento del campo). Da sottolineare comunque come si siano previsti momenti di riflessione e formazione vera e propria ma anche attività “organizzate” basate più sul gioco e svolte all’aperto e ancora altri momenti di completa libertà per i partecipanti.

Rispetto alla lingua “ufficiale” per il campo si è preferito utilizzare i traduttori tra italiani e bosniaci  piuttosto che affidarsi all’inglese che non tutti comprendono e che non avrebbe permesso di approfondire alcuni concetti complessi. Il lavoro egregio svolto dei traduttori, oltre che la loro disponibilità e adesione al progetto, ha fatto si che le diversità linguistiche non creassero problemi tali da mettere in discussione  la riuscita dell’esperienza. I ragazzi bosniaci che solitamente fanno da interpreti durante le attività dei comitati questa volta sono stati “esentati” dal ruolo di traduttori in modo che potessero mantenere una condizione paritaria con gli altri partecipanti.

Il campo è iniziato domenica 15 agosto mattina e si è concluso nel tardo pomeriggio di martedì 17.

La primissima parte delle attività avevano il fine di “rompere” il ghiaccio tra i partecipanti, sciogliere la tensione iniziale (che probabilmente era più degli organizzatori che tra i bosniaci) e creare una prima conoscenza reciproca.

Parte della prima giornata è stata utilizzata anche per sviscerare le aspettative e i timori che questa esperienza aveva creato nei ragazzi: del resto, durante le settimane precedenti, a loro era stato fornito un volantino con una brevissima descrizione degli scopi del campo e il vero “reclutamento” nei villaggi era stato delegato dagli italiani a qualche bosniaco fidato puntando più sulla fiducia e sulla famigliarità che i comitati hanno conquistato con gli anni che sulla spiegazione di cosa realmente sarebbe stato il Summer Camp.

Tra le aspettative riportate ha sorpreso positivamente come più di qualcuno, oltre ad aver manifestato una naturale voglia di divertirsi e fare nuove conoscenze, avesse espresso il desiderio di cominciare ad impegnarsi nel proprio villaggio a favore di persone bisognose o comunque di avvicinarsi al modello di volontariato che gli italiani praticano. Tali richieste sono andate incontro alle idee degli organizzatori che avevano ipotizzato come ultima attività del campo un incontro con qualche rappresentante dell’associazionismo locale: un componente dell’associazione “Giovani di Gracanica” e una ragazza che collabora con l’Associazione Emmaus  in particolare nella gestione di una struttura residenziale per malati psichici, tra le più importanti di Bosnia e a pochi chilometri da Lukavica. Da segnalare come già dalla lettura (con relativa traduzione) di tutti i contributi scritti dai singoli ragazzi ci si è scontrati con la difficoltà e la laboriosità di coinvolgere ad una ad una trenta persone nella discussione. Forse questo è stato uno dei motivi per cui, dai questionari redatti alla fine del campo, è emerso da parte di alcuni un’insofferenza rispetto alle attività di impostazione più “accademica” e strutturata.

Da segnalare come durante questo primo vero momento di discussione del campo proprio dai giovani bosniaci sia iniziato inaspettatamente un dibattito sul modo in cui essi si pongono rispetto al passato doloroso del loro paese e in particolare su come essi si ponevano in quel momento nei confronti dei partecipanti di diversa etnia. Se tra gli organizzatori ciò ha provocato una certa tensione, tra i ragazzi gli argomenti sono stati affrontati con grossa naturalezza e pacatezza: qualcuno di loro ha sottolineato invece come siano gli italiani a sbagliare a continuare a considerarli ancora “ragazzi di guerra”.

Ad esperienza conclusa e dopo aver parlato col direttore della scuola appare chiaro che la maturità e la naturalezza con cui i partecipanti hanno convissuto tra di loro non possano però essere generalizzate al resto della gente di Bosnia: quasi tutti i giovani del “Summer Camp” infatti conoscono i comitati da anni, hanno partecipato alle loro attività quand’erano bambini e gradualmente sono venuti in contatto con le idee di integrazione e interculturalità che i volontari italiani propongono: sono cioè una minoranza “scelta” e per certi versi privilegiata rispetto al resto della popolazione. Il direttore della scuola ci ha confermato come questi concetti tra i suoi studenti non siano affatto scontati e condivisi da tutti. Altro aspetto che forse ha facilitato la convivenza nel gruppo è stata la forte sproporzione tra il numero di partecipanti musulmani e quelli provenienti dall’area di Petrovo.

Le attività all’aperto praticate nel grande campo sportivo della scuola hanno contribuito ad attirare la curiosità della gente di Lukavica ricreando quel giro di curiosi che spesso ronza attorno agli italiani durante le settimane in Bosnia: alcuni dei paesani si sono uniti ai partecipanti al campo durante le serata passate a suonare e cantare.

Questi momenti apparentemente meno strutturati hanno permesso a parte degli organizzatori di sganciarsi dal gruppo e impostare le attività per il giorno dopo. È da sottolineare come nonostante la programmazione del campo fosse iniziata ben 3 mesi prima, comunque la complessità del progetto e la stretta vicinanza con la “settimana estiva” ha fatto si che si arrivasse a  “Summer Camp” ormai iniziato con delle attività solo in parte definite che ci si è trovati a dover organizzare con precisione solamente pochi minuti prima della loro realizzazione.

Nella seconda giornata si è puntato molto a favorire la conoscenza tra i partecipanti: ognuno di loro è stato intervistato e a sua volta ha intervistato qualcun altro sulla visione del proprio futuro. Ha stupito l’elevatezza delle aspettative espresse (molti han dichiarato di voler andare all’università e fra qualche anno si immaginano come professionisti, manager, ingegneri o professori). Ciò però cozza duramente con la condizione attuale della Bosnia e con la scarsità di risorse che può mettere a disposizione dei giovani (in particolare per quanto riguarda gli sbocchi lavorativi), tanto più in zone periferiche e “di campagna” come sono i villaggi in cui operano gli italiani. Rimarrà impressa nella mente di molti la testimonianza di una partecipante al campo che durante un giro di presentazioni iniziale, nonostante sia una bellissima ragazza, nel descriversi si è rappresentata come una mela marcia: dopo gli anni dell’università trascorsi in una grande città, la prospettiva di una vita in un piccolo villaggio la faceva sentire inutile, con una vita senza senso.

Le rimanenti attività del campo han cercato di far sperimentare ai ragazzi, sotto diversi aspetti, le difficoltà del lavorare in gruppo: dal coordinare una squadra di persone per vincere la caccia al tesoro al ricercare una soluzione il più ampiamente condivisa durante una simulazione di una prova di sopravvivenza. Anche qui è emersa una predilezione dei partecipanti per le attività più pratiche e dinamiche.

Dal punto di vista degli organizzatori in questa fase finale del campo c’era forse la sensazione di dover lasciare ai partecipanti una chiave di lettura, una sorta di “morale finale” rispetto alle attività proposte. A mente fredda appare chiaro come questo non fosse ciò di cui il campo necessitava: gli italiani dovevano semplicemente accompagnare i partecipanti lungo delle esperienze, delle sperimentazioni di relazioni che da sé in qualche modo li avrebbero stimolati e fatti riflettere.

Infine tra le attività organizzate segnaliamo anche le turnazioni per le pulizie dei bagni e il servizio ai tavoli durante i pasti: tali turnazioni sono state “autogestite” dai partecipanti e volutamente hanno rappresentato anch’esse occasioni per sperimentarsi nel rapporto con gli altri.

È stato fondamentale che la settimana prima del campo i volontari italiani fossero già in Bosnia per la consueta “settimana estiva”, in modo che ci fosse la possibilità di fare gli ultimi sopralluoghi o riunioni prima dell’inizio delle attività vere e proprie. Ma se da un lato la continuità con le attività estive dei comitati ha facilitato l’organizzazione del campo, dall’altro ha richiesto ai volontari uno sforzo fisico e di concentrazione non indifferente, già stanchi da una settimana di animazione e impegno ognuno nel proprio villaggio.

Organizzazione e logistica

Il luogo trovato e scelto per lo svolgimento del Summer Camp 2010 è la scuola di Lukavica, proprio in centro al paese. Grazie all’estrema disponibilità del Direttore della scuola gli spazi che si sono potuti utilizzare sono: cucina e sala mensa, tre aule adibite a dormitori più un’aula più piccola adibita a sala riunioni per gli organizzatori, la palestra, l’atrio e i servizi, oltre all’ampio prato esterno.

Letti, materassi e coperte sono stati forniti dall’associazione Emmaus.

La scuola si è rivelata un luogo assolutamente adatto al tipo di attività svolte, essendo sufficientemente grande da permettere sia la divisione in gruppi dei ragazzi, che hanno potuto utilizzare spazi diversi per lavorare senza disturbarsi, sia lo svolgimento di discussioni e attività tutti insieme. Particolarmente apprezzabile è stato l’uso della palestra, nella quale i ragazzi hanno potuto passare i “tempi liberi” praticando sport anche negli orari serali.

Anche a livello di sistemazione per la notte la soluzione adottata (divisione maschi femmine e utilizzo di 2 aule diverse per i ragazzi) ha consentito che non ci fosse un numero eccessivo di persone per stanza. Sicuramente le reti e i materassi non erano in condizioni ottimali e forse per l’anno prossimo, se si dovessero riutilizzare, è opportuno che tutti i ragazzi abbiano un sacco a pelo.

Da annotare anche la presenza di una sola doccia, cosa che non può essere modificata ma giusto per avvertire i ragazzi se si dovesse ripetere lì l’esperienza.

Il fatto che la scuola fosse vicino ad alcuni bar, presso cui noi e i ragazzi potevamo andare di sera anche a piedi, ha forse reso meno pesante il fatto di non poter allontanarsi durante il giorno.

In generale l’impressione sulla sede è assolutamente positiva, compreso il fatto che, essendo da “allestire” con lo spostamento ad esempio dei banchi per liberare le aule e sistemare i letti, i ragazzi hanno collaborato tutti insieme per preparare e soprattutto per rimettere in ordine e pulire prima di andar via.

Non vi sono state spese aggiuntive per l’utilizzo dello stabile, se non il contributo di 150 euro per la riparazione del boiler.

La presenza di due cuoche, trovate grazie al direttore, si è rivelata fondamentale per la buona riuscita del campo, soprattutto in un periodo “da gestire” come il Ramadan. Il menù è stato interamente gestito da loro (la spesa è stata fatta il primo giorno assieme a loro) ed anche gli orari dei pasti sono stati preventivamente concordati senza troppe differenze tra italiani e bosniaci.

Si aggiunge il fatto di aver trovato due signore assolutamente disponibili e ben disposte verso i ragazzi. E’ stato loro dato un contributo giornaliero.

Il gruppo di lavoro

Il lavoro di questo gruppo (Silvia Pettenuzzo, Mario, Mariano, Antonia, Leonardo, Nicola, Carlo, Silvia Marra, Alice, Roberto) parte da un’idea di alcuni volontari, condivisa nel comitato provinciale, che pensavano fossero maturi i tempi per tentare di offrire ad alcuni ragazzi dei villaggi bosniaci, sia della parte di Petrovo che di quella di Gracanica, l’opportunità di una esperienza forte vissuta insieme, sullo stile di un campo scuola.

La diversa provenienza dei vari volontari ha fatto si che la parte iniziale degli incontri preparatori venisse impegnata non tanto nell’organizzazione delle attività pratiche del campo quanto alla creazione di una confidenza tra i componenti del gruppo organizzativo, alcuni dei quali non avevano mai collaborato tra di loro. Il fatto che le riunioni si tenessero di volta in volta a casa di uno dei volontari ha aiutato a creare un clima famigliare, sereno e di complicità.

Merito di chi faceva da traino in quel periodo è stato certamente il far sentire anche gli altri parte integrante del progetto stesso. Inizialmente si è molto lavorato per creare l’ossatura dell’esperienza che si sarebbe andati a proporre, in modo schematico e dando un senso logico agli argomenti da trattare, soprattutto individuando gli obiettivi da raggiungere. Successivamente si sono sviluppati i vari momenti mettendo a fianco agli obiettivi degli agganci e delle attività per raggiungerli. A luglio comunque c’era ancora da sviluppare la parte pratica del progetto, cioè la preparazione delle attività e dei giochi individuati per l’organizzazione del campo.

La domanda che accompagnava ogni decisione era quella se quanto si stava proponendo potesse far sorgere qualche conflitto tra i ragazzi di etnia serba e quelli di etnia mussulmana; questo però non ha quasi mai ostacolato il nostro lavoro, che nella seconda parte era divenuto soprattutto un lavoro pratico.

I componenti del gruppo si sono rivelati complementari tra di loro: ognuno con le proprie sensibilità e disponibilità è risultato indispensabile per il buon andamento dell’iniziativa, anche chi per motivi personali non aveva potuto partecipare alla preparazione dell’attività. Un grosso aiuto è venuto anche dagli interpreti (Walter, Nedzad e Leonardo nel duplice ruolo di interprete e di organizzatore) che si sono perfettamente integrati nel gruppo di lavoro e si sono dimostrati assolutamente adatti all’esperienza.

Possiamo dire che l’equipe al completo ha preso forma e forza nei tre giorni del summer camp, quando tutti partecipavano attivamente come se avessero da sempre fatto parte di questa squadra. Stranamente ci sentivamo carichi di gioia e energia, sembrava che la fatica che ci portavamo dalla precedente settimana estiva nei rispettivi villaggi bosniaci e serbi se ne fosse andata, quasi scivolata via dalle nostre spalle.

Un esempio per tutti la preparazione e l’ultimazione della “caccia al tesoro” la sera prima di partire per l’Italia, durata fino alle 3.30 di notte e l’alzata alle 6.30 per ultimare e tradurre le ultime cose prima che i ragazzi si alzassero dai letti.

Anche il giudizio dei ragazzi partecipanti al campo nei confronti del gruppo organizzatore è stato positivo.

Ci sono naturalmente stati anche degli elementi di criticità: per tutti il non essere riusciti a far partecipare al campo un numero significativo di ragazzi della parte Serba: in futuro dovremmo essere capaci di coinvolgerne di più, interessando tutti i comitati presenti in zona. Bisognerà poi porre maggiore attenzione alla preparazione di alcune attività, in relazione soprattutto ai tempi legati alla discussione.

Possiamo dire in conclusione che ci sentivamo un tutt’uno con i ragazzi senza sentirci, ne professori, ne maestri, ne educatori,  ma compagni di strada.

 

Atteggiamento dei partecipanti

 

I partecipanti al summer camp hanno mantenuto in generale un atteggiamento positivo e di collaborazione.

Fin da subito i ragazzi hanno interagito tra di loro senza alcun problema particolare, questo è stato sicuramente facilitato dal fatto che alcuni di loro già si conoscevano in precedenza.

Solo inizialmente si sono potuti notare alcuni momenti di timidezza e di poca partecipazione da parte di un paio di persone, ma con il seguire delle attività anche questi sono riusciti ad aprirsi.

Durante la prima giornata si sono  presentati  degli amici di alcuni partecipanti con birra e sigarette, sono sempre rimasti nel giardino della scuola, ma questo ha distratto alcuni ragazzi dalle attività; nei giorni successivi non si sono più presentati e i ragazzi hanno sempre partecipato al campo in modo attivo.

Nei momenti delle attività programmate (lavori di gruppo e altro) tutti i ragazzi partecipavano senza problemi, rispettando i tempi e le consegne date. Durante i vari dibattiti e discussioni di gruppo sicuramente intervenivano i modo spontaneo le persone che meglio si conoscevano tra loro e con noi ma anche in questo caso si sono spesso esposti anche ragazzi nuovi.

I ragazzi si sono offerti spontaneamente per i turni di logistica come sistemare la cucina, preparare la tavola, servire i pasti e pulire i bagni; la collaborazione è stata buona e sempre equa.

I ragazzi che aiutano nei comitati, a volte si trovano a svolgere un doppio ruolo, alcuni l’hanno vissuto in modo positivo riuscendo a gestirlo molto bene. Altri invece con più difficoltà e in alcune occasioni si è percepito che non sapevano se rivestire un ruolo da partecipante o da animatore.

In generale l’atteggiamento dei ragazzi al campo si è dimostrato maturo e collaborativo.

Alcuni partecipanti hanno lamentato, alla fine del campo, la mancanza di birra e il divieto di poter fumare.

 

Il tempo libero

 

Inserito nel programma di campo come para-attività, era stato concepito come spazio quotidiano irrinunciabile, ma non troppo costruito. L’intento era di lasciare ai ragazzi la libertà di manifestarsi reciprocamente secondo le loro consuete forme di intrattenimento e di svago, utile a noi animatori per sondare i limiti dell’autogestione di gruppo, con la complicazione di saperlo in questo caso un gruppo etnicamente misto. Il rischio tuttavia che un’eccessiva esuberanza conducesse all’anarchia, ha indotto la commissione a prevedere che almeno il tempo libero del dopocena avesse un orientamento musicale, da sviluppare con le dediche e richieste dei ragazzi, e il loro diretto contributo al canto.

Di fatto poi il tempo libero ha trovato numerosi altri spazi, sia tra le attività programmate, sia al di fuori di esse, talvolta è stato richiesto, talvolta concesso in seguito ad attività rivelatesi più laboriose ed impegnative del previsto. In ogni caso è stato sempre molto gradito e gestito nel rispetto delle regole del campo che vietavano ad esempio, (vedi sopra) l’assunzione di alcoolici.

Una volta liberi dalle briglie, i ragazzi si sono dati a forme ricreative autonome, tornei e sottotornei di pallavolo, ma anche lunghe chiacchierate nel giardino, passeggiate di gruppo verso i bar del villaggio, nei quali li abbiamo più volte sorpresi seduti in “veliki krug” a consumare una coca-cola, in libero, spensierato e allargato dialogo di gruppo.

Anche alla sera, mentre alcuni partecipavano al canto accompagnato dalle chitarre sotto il cielo stellato, altri facevano concorrenza nell’atrio della scuola esibendo giochi di prestigio e giocolerìa pura, appresi dalle tradizioni di famiglia e nei villaggi di origine.

Il tempo libero si è dimostrato di grande utilità sia come spazio ricreativo, sia come verifica delle dinamiche sociali che spontaneamente si potevano creare. Al di là dei contenuti e delle lezioni apprese e condivise durante il lavoro di gruppo, ha rivelato chiaramente che il problema dell’integrazione è forse una preoccupazione più nostra, di educatori outsider, che dei ragazzi.

Ciò che sembra mancare loro è piuttosto un pretesto aggregativo, quindi ben venga l’incontro a tema, il campo a tema, che possano fornire successivi e ulteriori elementi di confronto.. ciò che sconvolge è però che noi l’interculturalità la definiamo, loro la vivono anche inconsapevolmente, e non appena si travalica l’argomento del recente conflitto, ne diventano inspiegabilmente maestri.

D’altro canto non si può non rilevare che la componente serba e quella musulmana erano in questa sede troppo sbilanciate numericamente per poter avere ragione di un effettivo superamento delle divisioni etniche tra i giovani.

Se musulmani e serbi fossero stati in parità, sarebbe stato tutto così interculturale? Viene il dubbio che la sproporzione abbia giocato a favore dell’integrazione, perché ai pochi è “convenuto” adeguarsi agli altri.

Il campione inoltre era un po’ viziato poiché costituito da una selezione di ragazzi abituati a collaborare con noi e cresciuti nella mentalità di favorire gli scambi interculturali. Diventa quindi inattendibile qualsiasi proiezione di comportamenti in tutta Bosnia.

Caricata positivamente dai riscontri del summer-camp 2010, la commissione si riserva di analizzare e sviluppare le ultime considerazioni nelle prossime auspicabili edizioni, per le quali diventa necessaria una maggiore adesione dai ragazzi dell’area serba. Si propone a tal fine di farsi portavoce della problematica ai volontari italiani che lavorano nel territorio di Petrovo, per circoscrivere con sufficiente anticipo e nel miglior modo possibile le ragioni delle titubanze.

 

Prosecuzione e sviluppo: ipotesi per il futuro

 

I^ FASE

Condividere con i ragazzi i risultati del questionario di valutazione finale, sia per un aspetto di correttezza e fedeltà, sia per collegare gli aspetti emersi dalle opinioni dei frequentanti e dalle riflessioni degli organizzatori con gli obiettivi per i quali era stato progettato il campo. La comunicazione sui risultati potrà avvenire nel contesto di un incontro in Bosnia con tutti i frequentanti, prevedendo momenti aggregativi da loro suggeriti e momenti di riflessione strutturata.

Durante tale incontro potranno essere raccolti suggerimenti e proposte (in forma di brain storming), sia per gli aspetti di vita di relazione, sia per le attività strutturate.

 

II^ FASE

I suggerimenti e gli spunti proposti dai giovani saranno inquadrati in una bozza di progetto per il 2011, che dovrà prevedere un approfondimento degli obiettivi, per un’azione di lungo periodo. Tale bozza sarà illustrata ai ragazzi, o mediante comunicazione telematica o mediante un successivo incontro, allo scopo di raccogliere le loro osservazioni e proposte. Sarà necessario che il gruppo di progetto decida se il programma definitivo sia affidato alle scelte dei ragazzi, o se il programma preveda una parte definita dal gruppo stesso e una parte risultante dalle decisioni concordate tra i giovani. In altre parole, si potrà prevedere che il percorso formativo contenga sia attività strutturate con maggiore spessore formativo, sia attività rivolte al semplice stare insieme.

ALCUNE INIZIALI LINEE GUIDA

  1. I momenti di svago e d’intrattenimento dovranno avere uno spazio riconosciuto, con una chiara definizione-distinzione tra attività organizzate e attività libere (l’esperienza di quest’anno è stata quasi sempre su questa linea).
  2. Alcune situazioni di quest’anno hanno segnalato l’opportunità di proporre attività rivolte alle manifestazioni personali sul piano espressivo e creativo. Esempio: esibirsi in performances di “spettacolo” (recitare, cantare, fungere da presentatore ecc.), sia individualmente sia in gruppo; realizzare prodotti artistici (pittura o altro); comporre testi poetici o narrativi, comporre musica e canzoni; organizzare interviste.
  3. Per i lavori di gruppo: potrà essere mantenuta e sviluppata l’impostazione di quest’anno. Alla luce dell’esperienza, sarà da curare in modo particolare l’informazione iniziale; sarà opportuno che ogni attività sia affidata in tempo utile ad un conduttore, il quale determinerà l’informazione e l’attuazione. Su alcuni aspetti della conduzione dei lavori (tempi, modalità di gestione dei momenti complessi) sarà bene concordare in gruppo alcune regole (o criteri).
  4. Le risposte al questionario hanno indicato alcune differenze di opinione a valutazione.
    Quindi sarà necessario tener conto di tali differenze, curando la condivisione nella programmazione con i ragazzi e nello svolgimento delle attività, attraverso un’attenta opera di mediazione. Le particolarità individuali potranno essere valorizzate nelle attività eventualmente rivolte a mettere in campo potenzialità creative ed espressive (vedi punto 2).
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